In piena
Roberto Borghi
En plein air, come scrive Flaminio Gualdoni nel Dizionario Skira dei termini artistici, è una locuzione in lingua francese che designa «la pittura di paesaggio eseguita direttamente all’aria aperta, ponendosi di fronte al modello fisico. Dal Rinascimento in poi l’elaborazione del tema paesaggistico avveniva effettuando schizzi all’aria aperta e poi rielaborandoli pittoricamente in studio. Di una prima pittura en plein air si può parlare a partire dal Settecento», quando si diffonde l’uso della camera ottica portatile e dell’acquerello come strumenti per prendere degli appunti visivi: a questo scopo, da metà Ottocento in poi, verrà preferita la fotografia, di cui farà largo uso Jean-Baptiste Camille Corot. «Già praticata dagli esponenti della scuola di Barbizon nell’ambito del Naturalismo, la pittura en plein air viene rivendicata come elemento fondante dell’Impressionismo essendo considerata l’unica che permetta all’artista di analizzare direttamente le variazioni minime di luce e di tono prodotte dai mutamenti d’ora, di clima, di stagione».
Questa premessa terminologica serve a focalizzare tutto ciò che l’opera di Giuliano Collina non è, e probabilmente non è mai stata. Non è anzitutto pittura di paesaggio: a me pare che non lo sia proprio mai, nemmeno quando si intitola Panorama lariano, come accade in alcuni dipinti degli anni Settanta, e sembra prendere spunto da paesaggi esistenti. Le vedute di scorci del Lago di Como costituiscono semmai dei pretesti per immagini turbinose e perturbanti, caratterizzate da una linea fibrosa e da un cromatismo volutamente pletorico. Collina non sembra per nulla attratto dall’idea di creare all’aria aperta, immerso nella natura: d’altra parte il ruolo dello studio, nel suo fare pittura, è imprescindibile; lo studio non è solo l’habitat ideale della creazione, ma un luogo riparato dalla vita, un mondo parallelo rispetto a quello reale. Il fulcro della questione sta in questa peculiarità: la pittura di Collina non è naturalista, anzi non è proprio realista, non si colloca in quella tendenza che, tra mutazioni e battute d’arresto, domina la figurazione sino alle soglie degli anni Duemila e che ha nell’Impressionismo una delle sue tappe evolutive. Non lo è in quanto non è interessata a porsi in una relazione frontale con il proprio tempo, a ricalcare i tratti salienti della storia, ovvero ad assumere quell’atteggiamento che, secondo Linda Nochlin, la massima autorità in materia, costituisce «l’essenza del realismo».
Perché allora Collina ha scelto di intitolare All’aria la sua personale da Folini Arte? Forse, in prima istanza, perché non pochi tra i dipinti in mostra giocano sull’effetto-aria. Non mi riferisco soltanto alle Bandiere che più o meno svolazzano, ma soprattutto a certe atmosfere compresse e incandescenti su cui si stagliano i Soli. Però si potrebbe anche leggere il titolo come una dedica: le opere rappresenterebbero un omaggio poetico all’etere, un’ode ai Venti e alle Notti stellate. Questa seconda ipotesi avrebbe il vantaggio di sottolineare l’indole lirica di certa pittura di Collina, ma anche di ribadire il rapporto indiretto, non descrittivo, anzi letteralmente trasfigurato, che le opere instaurano con il loro “soggetto”. Un’ulteriore congettura si basa sull’espressione idiomatica mandare all’aria, nel senso di mettere a soqquadro, scombinare gli schemi prestabiliti. Non mi stancherò mai di ripetere che Collina può contare su di una sorta di credito originario: quello di aver rappresentato, fin dai suoi esordi, una pietra d’inciampo, una vistosa eccezione nella scena artistica comasca del secondo Novecento, ancora improntata dal binomio astrattismo e moralismo. A fronte di una pittura dai risvolti catechetici, finalizzata cioè a ribadire il dogma di un «ordine» eternamente sotteso alle immagini «che è proporzione e armonia», come Mario Radice ha ripetuto per quasi mezzo secolo, Collina ha dipinto figure ambigue e aggrovigliate negli anni Sessanta, situazioni visionarie e personaggi sdoppiati o evanescenti nei Settanta, bagnanti che finiscono col dissolversi in un sontuoso liquido cromatico negli Ottanta... A partire all’incirca dai primi anni Duemila, i suoi quadri sono diventati sempre più liberi, istintivi, elementari nell’assetto compositivo e visionari nella scelta dei colori: le Notti stellate, le Nuvole e le Bandiere, realizzate di recente e ora esposte da Folini Arte, sono pervase da un’eleganza giocosa e da una grazia infantile che fanno pensare a come il buttare all’aria sia un gesto anzitutto tipico dei bambini.
Può anche darsi tuttavia che il titolo della mostra riprenda la seconda parte dell’espressione francese dando per scontata la prima. A guardarli bene, i dipinti riprodotti in questo catalogo, e in particolare i Soli e i Venti, si rivelano caratterizzati da una pienezza sensoriale che riesce a non scadere mai nella saturazione. La densità filamentosa dei Venti il magma traboccante dei Soli manifestano quanto l’energia pittorica di Collina sia più che mai in piena.